Il cavallo accompagna la storia degli uomini: li affianca nei viaggi o nelle fughe, nel lavoro dei campi, nelle battute di caccia e, ahinoi, anche nelle azioni di guerra.
Il Canavese non fa eccezione: dalle nostre parti il cavallo era già utilizzato all’inizio dell’Età del ferro, come testimoniano le descrizioni di un tumulo tombale risalente a quell’ epoca protostorica, ritrovato presso Perosa Canavese, proprio alle porte di Ivrea. Correva l’anno del Signore 1796 e Giovanni Benvenuti ci descrive questa tomba, di cui nulla è giunto fino a noi se non testimonianza scritta, all’interno della quale si trovava un bacile di rame con coperchio dentro il quale si distinguevano le ceneri di quello che era presumibilmente un uomo di potere, forse una sorta di “principe” per quelle piccole comunità , in quanto portava, citiamo testualmente” l’armatura intiera del guerriero ivi sepolto con l’asta e l’armatura del suo cavallo.”
Conoscevano e utilizzavano il cavallo sia i Celti che i Longobardi, ma i Romani organizzarono nel modo più completo una rete di spostamenti basata sui cavalli. Ivrea, allora Eporedia, era una delle stazioni di sosta e cura dei cavalli nota a tutti, anche a Plinio, che spiega così le origini del nome antico della città:”Eporedias Galli bonos equorum domitores vocant”, ovvero “I Galli definiscono gli Eporediesi validi domatori di cavalli”.
Altri studiosi invece ritengono Eporedia non solo una stazione di posta per la sosta e il cambio dei cavalli su una via di transito verso le Gallie, ma anche un vero e proprio “conciliabulum” dove si ritrovavano le popolazioni locali in alcuni periodi dell’anno per partecipare a mercati e gare.
L’ipotesi, assai suggestiva, è ripresa anche da Marco Cima, studioso di storia canavesana acuto e attentissimo, nel suo libro “L’uomo antico in Canavese” dove conclude: ”Forse, non a caso ancora oggi per la festa patronale si tiene a Ivrea la Fiera di San Savino con il più importante mercato di cavalli dell’Italia nord occidentale.
Di fatto nelle campagne eporediesi e canavesane i cavalli sono presenti e importanti da molti secoli: agli inizi del 900 sono i “biroch” e i “Cartun”, ovvero i carrettini e i carretti grandi trainati anche da due cavalli i mezzi su cui si spostano i contadini e le loro famiglie e soprattutto su cui viaggiano le merci verso i mercati o i mezzi con cui si trasloca e si lascia il proprio paese per trasferirsi.
I carrettieri, cartunè nel nostro dialetto, sono persone esperte nella conduzione di cavalli e carri, persone cui si affidano beni e bagagli e che spesso sono, come oggi diremmo, dei liberi professionisti che compiono viaggi e consegne su commissione dei loro clienti.
Il loro punto di riferimento è il cavallo, un animale robusto e paziente che scelgono nelle cascine o che ammirano nelle fiere di paese. San Savino è già per loro, negli anni 50 e 60, un riferimento importante: i cartunè stanno per essere sostituiti dai primi furgoncini, ma ancora resistono ,lavorano e spesso arrivano anche dall’Alto Canavese fino a Ivrea, dove si fermano anche due giorni per visitare San Savino. Nell’economia del dopoguerra che sta lentamente ricostruendo benessere e vita sociale, il cavallo trova ancora un suo ruolo importante e prezioso. Oggi i carri da trasporto sono spariti, destinati a sfilare solo nelle manifestazioni che ricostruiscono la memoria di antichi mestieri che riconoscevano il cavallo come risorsa e patrimonio di grande e irrinunciabile valore.
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