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IVREA. Unesco: bocciati. Ma c’era da  immaginarselo

IVREA. Unesco: bocciati. Ma c’era da   immaginarselo
  Alla fine è arrivato. Il Comitato Nazionale giudicante e si è espresso senza alcun dubbio o tentennamento: meglio Bergamo di Ivrea. Inutile dar credito alla storiella che non è ancora detta l’ultima parola, che il progetto lo manderanno lo stesso a Parigi, la rava e la fava. Ivrea è fuori, punto e basta. Oggi è un altro giorno e con la sconfitta in tasca e l’amara verità scritta nero su bianco, non si potrà non evidenziare come l’aver pensato anche solo per un momento di inserire tra i “patrimoni mondiali” l’architettura industriale del Novecento di una piccola cittadina italiana, aprendo così le porte alla candidatura di centinaia di altre città, che forse anche più di Ivrea hanno contribuito alla storia moderna, è qualcosa che ci aveva lasciato fin da subito un po’ perplessi. Una sfida, a nostro avviso, persa in partenza. Una sfida che però ci è costata la bellezza di 440 mila euro, euro più, euro meno. Quante cose si sarebbero potute fare con questi soldi? Un sacco e probabilmente si sarebbero già potuti spendere per cominciare a valorizzare quel patrimonio industriale di cui tanto si è parlato in questi anni. Un patrimonio che oltretutto sta cadendo a pezzi e che di recente, come nel caso di Talponia, è finito agli onori della cronaca locale e nazionale quale esempio di malagestione pubblico-privata di un bene che aspira - anzi no - aspirava a farsi conoscere nel mondo. Pazienza... Dispiace per chi ci ha creduto. Dispiace per la Fondazione Adriano Olivetti. Dispiace per una storia lunga un secolo. Dispiace per l’Olivetti di Adriano che fu legata a Ivrea e al Canavese - almeno in chi ci crede e a chi ha vissuto in quel tempo - come nessun’altra azienda è mai riuscita a legare a sè un territorio. Dispiace ma sarebbe spettato alla polica governare la ragione sul sentimento diffuso, la razionalità sull’emotività. E invece nulla. Da qui in avanti meglio sarebbe metterci una pietra sopra, comunque non aumentare i costi fin qui sostenuti.
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