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22 Gennaio 2023 - 22:07
'In questo mondo' è il docufilm di Anna Kauber in cui si parla di donne e transumanza
Una laurea in tasca o una lettera di prepensionamento e poi via su per i monti a fare il pastore.
Cresce in Italia il numero delle donne, oltre un centinaio che scelgono la pastorizia come mestiere, e se fino al Duemila si concentravano su Alpi e Appennino Toscano-Emiliano ora capita anche al Centro-Sud e in Sardegna di incontrare donne che accudiscono il gregge di pecore o capre, ribaltando ogni stereotipo sulla pastorizia patriarcale.
Un baluardo di tutela della cultura rurale, ma anche della biodiversità zootecnica: l'Italia, ricorda Coldiretti, conta 38 specie di capre autoctone e 50 razze autoctone di pecore.
"Nel 2014 - racconta Anna Kauber, autrice del docufilm 'In questo mondo' - nessuno parlava di pastorizia e c'erano zero notizie sulle donne pastore. Io ne ho intervistate, vivendo a tratti con loro, un centinaio, tra i 20 e i 102 anni, che continuo a monitorare e posso dire che di questa schiera che pratica la pastorizia tradizionale o il pascolo vagante, scelta tosta che ti porta a vivere isolata in quota dormendo quando va bene in roulotte, solo una ha abbondonato i monti ma conta di tornarci proprio per accudire gli animali".
"A differenza dal passato - sottolinea Kauber - oggi è un lavoro che si sceglie. E costa farlo perché è una scelta spesso osteggiata dalle famiglie, e persino dalle comunità montane. Fare il pastore è spesso il piano B per donne laureate o per cittadine che, soffocate dallo stress, a una certa età scelgono di allontanarsi dalle realtà urbane per fare il pieno di libertà andando all'ovile. Ce ne sono di tutte le generazioni ma sono perlopiù le quarantenni a fare questo passo. Certo è una passione che devi avere dentro e forte, sotto sotto 'devi avere il sangue di pecora', ha detto una delle intervistate in Val Camonica".
Ma a muovere questa scelta professionale è fondamentalmente il bisogno di tornare in contatto con la natura, di ritrovare un'armonia che non contempla mai, nella pastorizia al femminile, la brutalità con gli animali.
"È una scelta di vita, e sì pure di morte, perché l'allevamento contempla anche la morte procurata per il bestiame da carne, ma tutto rientra nei cicli stagionali e della natura. Ogni donna-astore che ho incontrato rivendica spazi di libertà, e lo stesso scegliere un pascolo o l'altro dà autonomia al sé, così come il variegato percorso di addestramento. Ma il film documenta che - rimarca la regista - non c'è mai alterità, estraniamento. La beatitudine trovata dietro l'angolo non esclude il contatto umano e con la comunità, anzi si fa sempre più rete".
Il bestiame impegna tanto perché gli animali mangiano due volte al giorno e vanno munti quotidianamente ma anche in questo lavoro c'è tempo libero: alcune lo dedicano alla lettura di un libro, molte alla raccolta delle erbe di campo, tutte hanno una cultura del non spreco e no waste, preservano in prima persona l'ambiente e il paesaggio agrario.
"Sui monti fanno mille cose, non si limitano ad accudire gli animali ma fanno corsi per produrre formaggi a norma o sono raccoglitrici, ad esempio di timo per caratterizzare specialità casearie".
Altre come Carolina Leonardi sulle colline Apuane appena hanno una pausa nell'ovile con un centinaio di pecore massese, razza autoctona dal manto bruno, vanno al mare e fare surf col fidanzato e mangiare una pizza con gli amici.
A 29 anni, dopo una laurea in Agraria all'Università di Pisa, Carolina sottolinea che è una vita normale la sua, e che il bello sta nel portare avanti la transumanza per preservare pascoli e benessere animale.
Le donne-pastore a volte sono anche casare, mai omologate, i formaggi a latte crudo di Carolina sono ad esempio alla calendula e foglie di castagno, quel che seleziona in alpeggio.
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